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Il bisogno di futuro

Esame di Stato 2019

“Entrare in un palazzo civico, percorrere la navata di una chiesa antica, anche solo passeggiare in una piazza storica o ………”  Così inizia la traccia del Nuovo Esame di Stato 2019,   ispirata da un testo di Tomaso Montanari,  che vuole fare riflettere  lo studente sull’importanza del nostro patrimonio artistico e culturale, fatto di  opere tangibili come di opere intangibili, dell’anima, o dell’effimero musicale, danzante, teatrale…

Che fortuna abitare nel Paese che più di tutti al mondo conserva  i luoghi consacrati come Patrimonio dell’umanità. Abitare un habitat   celebrato per la sua Bellezza, dovrebbe già di per sè rendere la nostra stessa vita degna d’essere vissuta, eppure non è così scontato, perché la Bellezza   è qualcosa che non nasce spontanea, nè può essere data per scontata ed eterna, vive solo se la facciamo vivere, esplode in tutta la sua magnificenza solo se la facciamo nascere,  e poi  in parte passerà, o soffrirà del passare del tempo, e allora subito ci si rende conto   di come sta a noi uomini del presente e del futuro  sapere ricevere, conservare, comprendere e trasmettere cotanto tesoro prezioso.

Del resto la Bellezza è tale proprio perchè si distingue dalla volgarità, dalla Bruttezza, appunto, e da tutti quei comportamenti fatti di opportunismo e guadagno spicciolo, se non  proprio spicciolo, calcolato, e come tale i nemici di questa meraviglia sono tanti, e severi, e per nulla sprovveduti, e per niente disposti a farsi mettere da parte.

Montanari parla di generazioni che stanno seppellite sotto  il suolo che noi esseri   viventi tutti i giorni inconsapevolmente calpestiamo, quello stesso  territorio, o campo, o montagna, o borgo, o città, o villaggio  che sopravvivrà alla nostra stessa morte, e noi stessi finiremo sotto quel suolo  insieme alle ossa di chi ci ha preceduto.

Immagine forte, questa del mondo ridotto a un immenso cimitero che conserva i nostri avi, i nostri predecessori, dai più famosi  a quelli più anonimi, un sacrario alla vita che è stata e che continuerà ad essere dopo di noi.  Gli uomini muoiono ma di loro sopravvivono    il loro spirito, le loro opere, i loro figli, i loro pensieri, le loro idee, la loro voglia di essere stati  cercatori del bene più raro e prezioso possibile, la felicità.

Altro che “dittatura totalitaria del presente”, quel sentimento pervasivo, disturbato, confuso, fugace, sfuggente, inquinato, violentato  da mille rumori e frastuoni che ci portano alla totale confusione e perdita di noi stessi e del centro.

Ognuno di noi è quello che altri prima della nostra venuta al mondo ci hanno permesso di diventare, ma è anche quello che permetterà a nuovi esseri di divenire   grazie e attraverso il nostro personale modo di vedere  le cose, i problemi, le necessità. L’autore parla di Democrazia, di quale sarà il mondo di domani, lasciato ai posteri dalle decisioni di vita  di oggi.

Anche nella società liquida e “usa e getta” la Bellezza non ha smesso di avere il suo fondamento ed il suo Altare celebrativo. E’ il pensiero del Bello che ci fa svegliare al mattino contenti d’essere vivi, è il pensiero del Bello che ci fa sopportare i momenti difficili che ognuno di noi si trova ad attraversare, è il pensiero del Bello che costruisce  le Cattedrali del Bene e della Giustizia,  quel pensiero fatto di ricordi, di memoria, di percezioni, di sogni, di progetti, di speranze, di attese, di attimi impalpabili quanto indelebili, piccoli tasselli di un mosaico  che  alla fine andranno a tessere la grande tela dello scenario umanistico.

Questo immenso patrimonio culturale fatto di filosofia, cinema, poesia, arte, monumenti, libri, architetture, borghi e spettacoli, è qualcosa che scorre nelle nostre vene, è qualcosa che ha contribuito a dare alla Storia le sue epoche, dal mondo classico e pre ellenistico  al lungo cammino medioevale;  dal mondo Rinascimentale al Risorgimento, attraverso l’Illuminismo  e l’esplosione dei fasti della Ragione;  fino al buio terribile dei Totalitarismi e dei genocidi, che purtroppo ci hanno smascherato nella nostra fragilità e inconsistenza, nella nostra follia e depravazione; un periodo oscuro   che ha fatto tremare ogni più incontrovertibile certezza, che ha rimesso tutto in discussione, che ci ha obbligato a ripensare un Nuovo Umanesimo avendo smarrito quello precedente, che ci ha costretto  ad ammettere delle colpe che richiedono precise  istanze  di perdono rivolte alla vittime.

Il totalitarismo dell’oggi è un nemico mascherato che dietro la facciata del divertimento e dell’intrattenimento  mordi e fuggi, distrugge gli uomini  senza che se ne rendano conto, come se li sedasse prima del colpo mortale. E’ insidioso, impercettibile,  quanto falso e menzognero.  Passa anche attraverso la televisione, quella più di apparenza che di sostanza,  quella più legata a logiche commerciali che formative,  che deve fare odiens  o che deve riempire spazi così come dovessimo riempire contenitori.

L’uomo non è un contenitore,  è fatto di pulsioni vitali che possono raggiungere le vette dell’iniquità come le vette della Misericordia e della Generosità.  Questo destino che lo porterà verso una direzione piuttosto che l’opposta  è un’incognita legata alla sua libertà, alla nostra libertà, al nostro  essere  in scienza e coscienza  per noi   stessi oltre se stessi.

E’ anche legato alle eredità ricevute, a quel passaggio di consegne che ogni padre consegna ai suoi figli, e che ogni figlio consegnerà alle successive  generazioni.

Certo che dalle macerie della guerra la civiltà ha saputo risorgere e ricostruire, ma personalmente e coralmente   ci chiediamo a quale prezzo, con quali anticorpi, con quali consapevoli   obiettivi e buoni propositi, con quale capacità di visione lungimirante costruita sopra ponti  che sappiano   unire le ragioni di tutti, dei vinti come dei perdenti, dei giusti come degli ingiusti,  dei saggi  come degli stolti, dei deboli come dei forti,  di chi ha la ventura di nascere di qui da una riva piuttosto che sulla riva opposta.

Gli uomini sono stati sacrificati a migliaia,  spesso spazzati via alla velocità della luce, tra atroci sofferenze, tra disumanità apocalittiche,  e di loro è rimasto   il pensiero che noi sopravvissuti  siamo stati risparmiati, graziati dal gioco della vita, e destinati a diventare testimoni del Male. Come anche testimoni della Bellezza sopravvissuta o rinata.

Accanto a noi sono state risparmiate   le opere d’ingegno, più o meno fisiche, più o meno monumentali, più o meno straordinarie,  più o meno danneggiate, più o meno illese. Quelle opere parlano degli uomini che non ci sono più, ma parlano anche agli uomini che ancora devono nascere, in una lingua che va oltre il codice linguistico, oltre il flatus voci, oltre il detto e il non detto.

Dentro questo patrimonio ognuno di noi  si può riconoscere, può trovare il senso della propria esistenza, può persino aiutare gli altri a fare trovare la propria ragion d’essere.

La mia  casa modesta  è piena di cose belle o che tali reputo, nella mia semplicità. Adorno la casa come se adornassi me stessa,  e adorno me stessa come se fossi io la mia casa più preziosa.   Non con monili, oggetti che inseguono la moda del momento, ma con  segni  che raccontano una storia; la bellezza non è sinonimo  di  irraggiungibilità; se così fosse l’avremmo avuta in disprezzo o in odio, sarebbe diventata il distinguo di chi può e di chi non può, e invece anche nella casa di un povero ci può stare un qualcosa di bello.

Bella può essere la sua dignità di essere umano, bella può essere la sua fierezza, bella può essere una piccola cosa che conserva dei suoi tempi migliori  o che racconta della storia della sua famiglia.

Bella potrebbe essere la luce del suo sguardo che non si è lasciato piegare dal male di vivere,  o dalle ingiustizie di un mondo che è tutto tranne che perfetto e in  indolore  progresso.

La bellezza salverà il mondo, come diceva Dostoevskij,  a patto che gli uomini avranno o abbiano a salvare la bellezza. E’ un pò come il dilemma dell’uovo con la gallina: nasce prima l’uovo da cui verrà fuori la gallina o la gallina che farà l’uovo per replicare il miracolo della vita? Se facciamo fuori la gallina prima che possa fare il suo uovo, non avremo più di che nutrirci, ammettendo che quell’uovo  rappresenti   la nostra fonte di alimento.  E se ci cibiamo dell’uovo prima ancora che possa diventare gallina, non potremo gustare dei frutti della crescita, dei frutti della storia che è il tempo che passa, giorno dopo giorno, anello dopo anello, impedendo  al l’albero dell’umanità di   sviluppare  le sue radici sempre più profonde, in apparenza così lontane dalle prime manifestazioni di sviluppo.

E così nasce prima l’uomo che farà l’opera d’arte o  l’opera d’arte che forgerà nuovi uomini?

Ogni essere umano è potenzialmente un Leonardo, un Michelangelo, un Caravaggio, un Dante, un Einstein, un Roosevelt, un Gandhi, un Martin Luter King, una Montalcini,  una Segre,  una Madre Teresa,  una Caterina da Siena, una Montessori,  una Giovanna d’Arco, ma mi verrebbe da aggiungere  una perfetta non so chi qualunque  che potrebbe incrociare un giorno la nostra strada e salvarci non si sa per quale miracolo, la vita.

Questo universo così tribolato, così complesso e ingarbugliato tra passato presente e futuro,  mi lascia attonita e smarrita, ma anche piena di speranze. Le speranze alimentate dalla forza della voglia di Esserci che non si arrende, che proprio dal dolore trova l’energia per reagire, che proprio dalle domande trova lo spirito delle risposte,  e così dalle vecchie opere d’arte ormai trite e ritrite ma mai morte, ecco che già sta spuntando come un nuovo fiore il germoglio della Bellezza immortale.

SPINOZA

SPINOZA era un   sefardita ossia  un   ebreo della Spagna.

Il retaggio filosofico è  quello di Cartesio, che aveva diviso il conoscibile tra Razionalisti ed Empiristi

I primi sono quelli che usano il metodo DEDUTTIVO LOGICO, i secondi sono quelli che usano l’esperienza sensibile ( Locke e Hume).

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Giuditta e le sue bugie

Questa  è la storia di un convento dell’Ordine delle Ancelle della carità, che durante gli eventi terribili delle leggi razziali in Italia, decise di accogliere tra le sue mura una piccola ebrea di cinque anni.

La piccola di nome Giuditta, in ebraico  Yeuhùdith, si era dovuta separare dolorosamente dalla madre, che doveva essere  deportata nel campo di sterminio di Auschwitz, e quindi  subito dopo separata anche  dalla stessa famiglia che l’aveva accolta in seno, il tempo necessario di capire quale sarebbe stata la cosa migliore per tutti  da farsi.

Tenere la bambina  o non tenere la bambina?

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Pascal

Non si può uscire dal ‘600 senza avere fatto un cenno a Pascal. Dire Pascal (1623-1662) significa dire Le ragioni del cuore, ossia quella seconda ragione che non segue la logica ma il sentimento, non un sentimento qualunque ma  uno capace di riempirci l’anima, lo spirito, il senso di  smarrimento  che si prova quando se ne rimane privi.

Pascal sembra un innamorato pazzo, un innamorato folle, ma questo suo innamorarsi  di Dio  inverità  nasce dalla consapevolezza di come sarebbe assurda una vita senza fede, senza luce, senza la possibilità della pace, della bellezza, della grazia, dell’amore tra l’uomo e Dio e tra gli stessi uomini.

A dire tutto questo non è un pensatore  squilibrato ed incapace di occuparsi d’altro nella vita; è uno scienziato a tutto tondo che aveva già fatto importanti scoperte in ambito scientifico e matematico. Sue sono infatti l’invenzione della calcolatrice che  sarà detta Pascalina,  suo  il teorema di Pascal detto anche il teorema delle coniche, suoi importanti studi  sui fluidi e sui  triangoli…

E’ un pensatore che avrebbe potuto avere una vita fastosa  e piena di onoreficienze, ma un giorno decide di lasciare le cose del mondo  per occuparsi delle cose di Dio, ritirandosi in un monastero, dentro la comunità di Port Royale.

Aderisce al giansenismo che sostiene la necessità d’essere rigorosi con se stessi  e  critici nei confronti di chi amministra  con leggerezza le vicende dello spirito. Questo movimento verrà annoverato dalla Controriforma cattolica tra i pensieri eretici perchè non asserviti alla teologia dominante  (che equivale a dire  che   i Francescani erano eretici perchè predicavano la povertà estrema), e Pascal verrà invitato dall’Inquisizione ad abbandonare  certe posizioni estreme  o giudicate pericolose; cosa che lui fece senza però   mai venire meno al suo principio interiore di fede.

Insomma, una questione di religione, ancora una volta, forse una delle ultime    prima di vedere il pensiero  moderno aprirsi totalmente alle nuove esigenze tutte umane e romantiche che vorranno occuparsi solo delle cose del mondo, già così complesso e ricco di stimoli da poter riempire comunque  spiriti  profondi  e segreti come quello di Pascal.

La sua opera maggiore, i Pensieri,  è diventata un classico intramontabile della letteratura; contro il divertimento, che Pascal giudica la più grande piaga del mondo,  il filosofo sostiene l’importanzadel silenzio, della meditazione, della preghiera, ma non un pregare alla superficie come è di molti falsi cristiani, bensì un pregare nelle pieghe dell’anima, nel sentire  interiore,  condannando quindi un modo del tutto esteriore e vuoto di professare il cristianesimo. Pascal  distingue anche il Dio dei filosofi dal Dio dei credenti. Il Dio dei filosofi  è un Dio pensato con la ragione, descritto con la ragione, come quello di Cartesio; ma Dio non può essere  pensato o compreso con la ragione della testa, ma solo con la ragione del cuore, come si diceva all’inizio di tutto questo discorso. Dio è una sfida, una provocazione, una scommessa che dobbiamo fare nostra. Insomma, è un azzardo, un rischio, un salto nel buio, di cui non c’è certezza di riuscita, ma è un salto di cui ne vale assolutamente la pena.

Tanto in geometria Pascal aveva avuto modo di sperimentare la perfezione ed eleganza dello spirito geometrico, tanto in  religione  Pascal invita ad avere lo spirito di finezza, cioè quel sapere vedere oltre, vedere dietro il velo che tutto sembra nascondere e che si lascia disvelare solo a chi bussa a quella porta nella volontà di vederla aperta.

Pascal conquista, nonostante non abbia fatto nulla per guadagnarsi un posto al sole, e forse proprio per questo. Sarà ripreso da  Rousseau, Heidegger, Kierkegaard, Schopenhauer, Manzoni, Dostoevskij ed altri celebri nomi…

 

 

Newton

Newton nasce nel 1642, rappresenta forse il più avanzato scienziato degli antichi, o meglio ancora, il più evoluto alchimista  del tardo   medioevo.

Astronomo,  filosofo, matematico, fisico e quindi alchimista, ossia conoscitore dei riti magici o alchemici che sconfinano nella superstizione. Essendo  manipolatore del mercurio, si ammala di bipolarismo e lo stesso raggiungimento del successo gli causò molte contese e momenti di follia.  E’ stato Newton a scoprire il calcolo infinitesimale ma non lo rese pubblico. Quando arrivò  Leibniz con la sua stessa proclamazione che tale riteneva in buona fede, esplose una terribile contesa tra i due scienziati che ne uscirono praticamente    con i nervi distrutti. Al calcolo infinitesimale seguirà il calcolo  differenziale e integrale.

Per non sottoporsi allo stress  della pubblicazione  di molti suoi  scritti, decide di pubblicare utilizzando  degli anonimi. Le sue teorie sul moto, la gravità e la dinamica saranno riprese da Einstein.

Tra le sue maggiori scoperte si annoverail telescopio riflettore.  In  scienza fonda i 4 principi del Metodo Scientifico: 1 non ammettere spiegazioni superflue 2 Fenomeni uguali hanno cause uguali 3 le qualità uguali di corpi diversi sono universali  4  le ipotesi per esperimento sono valide fino a prova contraria

In ambito scientifico Newton superò di  gran lunga Cartesio  e solo il già citato Einstein riuscirà a superare Newton. Ancora oggi si usano le leggi newtoniane.

Visse una vita al limite della normalità, sembra  rimase vergine  fino alla fine dei suoi giorni,  e  fece parte anche di numerose sette segrete come i Rosacroce    sulle cui vicende  si spazia nella leggenda.

Personaggio complesso, dal carattere   spinoso e per nulla cordiale, ebbe in odio il cattolicesimo che sosteneva la trinità di Dio; alla falsità  trinitaria contrappose  il culto di Ario.

Galileo Galilei

Si è parlato di  Giordano Bruno e della sua misera fine  accaduta nel 1600, a inizio nuovo secolo.

Galileo Galilei (1564-1642) è lo scienziato  che meglio eredita la visione matematica, scientifica  e sperimentale  che Bruno  aveva cercato di  comunicare al mondo, senza successo.

Fondamentale risulterà essere la scoperta dell’uso del canocchiale che attraverso la smerigliatura delle lenti  permetterà al più celebre scrittore italiano di quel tempo  di fare scoperte sensazionali ed assolutamente fuori  dalla logica dominante.

Mettendo in crisi il sistema  tolemaico il maestro riprende il sistema copernicano  che mette il sole al centro contro il geocentrismo e contro quindi la tradizione.

La sua appassionata ricerca  astronomica e non solo    si svolge  tra la libera Padova  protetta da Venezia e  la meno libera Toscana,  alla forsennata   ricerca della protezione medicea,   ma troppo vicina allo stato della Chiesa  che di sicuro non vede di buon occhio gli scritti e gli esperimenti galileiani.

Anche la vita privata di Galilei non  gli semplifica i rapporti con le gerarchie ecclesiastiche; convive fuori  da un legame regolare   con una  collaboratrice da cui deriveranno tre figlie, due delle quali andranno monache non  potendo aspirare  a fare  dei buoni matrimoni.

Di questa relazione filiare  è rimasto un ampio e illuminante carteggio,  che molto ci racconta   del carattere, della personalità e della sofferenza  umana  fuori dagli occhi indiscreti   dei suoi  usurpatori.

La casa di Galileo si trasforma  nel tempo in  un vero e proprio laboratorio  vivente, un continuo andirivieni di studenti  e di colleghi    ormai attirati dalla fama dello sperimentatore,  che   si occupa non solo di astronomia ma anche di medicina, di dinamica e naturalmente di matematica.

Scrivendo il suo celebre Sidereus Nuncius (opera letteraria e non solo sceintifica  che lo fanno entrare nel novero dei grandissimi scrittori)   si autocondanna  all’esilio. Proprio il massimo momento della sua fortuna  scientifica e professionale arriva a  coincidere  con l’inizio   della sua stessa disgrazia umana e   personale; è una lenta ma inesorabile parabola al negativo,  dove gli entusiami e gli applausi scatenati  dalla potenza  dei fatti  vengono smorzati   insidiosamente  dai dubbi e dalle invidie che gli piombano addosso da ogni dove;  dopo le prime e  aperte accuse  di eresia,  per evitarsi il rogo già occorso al collega Bruno, verrà costretto ad un umiliante atto di apostasia.

Si aggiungeranno   problemi di salute, di solitudine, e anche di povertà.

Solo dopo circa   quattro secoli   il nome di quest’ uomo di  Scienza  che rimase comunque  profondamente credente  fino alla fine,  nonostante  quello che la Chiesa  era arrivata a causargli,  verrà ristabilito con tutti gli onori  a lui spettanti.

La Chiesa ha dovuto comprendere che  non si può leggere il mondo con le parole della Sacra  Scrittura, e che le due   realtà devono rimanere profondamente  distinte.

Ha dichiarato le sue scuse, forse  diremmo troppo tardi,  quando ormai  l’Istituto religioso nel mondo occidentale ha perso   gran parte  del suo potere e della sua  credibilità.  Ma Galileo ne sarebbe stato felice, anzi,  mi piace immaginarlo assai soddisfatto  di sapere che a lui si guarda oggi   come ad un celebre ed unico, assoluto  e amato  ricercatore,  che appunto onoriamo come il padre del  metodo scientifico.

Lutero

Il 1500  è il secolo  che diventa teatro di terribili dispute religiose e politiche. Se da un lato la Chiesa cattolica romana  impera sul mondo occidentale tra  una sempre più evidente decadenza  di costumi, dall’altro lato si impone la figura di un  religioso in terra germanica che nel 1517  pubblica  95 Tesi contro la Chiesa cattolica corrotta  e contro il sistema merceologico  delle Indulgenze.

Martin Lutero  (1483-1546))  parte dal principio che  ogni singolo uomo è il  sacerdote di se stesso, ogni singolo fedele si deve fare lettore e interprete della Bibbia e del suo insegnamento, con l’intento preciso  di rendersi responsabile diretto delle proprie azioni e con lo stretto legame che  unisce la vita terrena con la vita spirituale

Niente celibato per i preti, niente  separazione tra  potere religioso e potere temporale per i Principi, ma piuttosto stretta collaborazione.

Anche  il mondo cattolico è di fatto un mondo che ha mescolato i  principi religiosi con quelli secolari, ma mascherando e  mortificando   i secondi  dietro  una presunta superiorità  di quelli divini,  che per altro sono sempre esercitati da semplici uomini.   Il fondatore del Protestantesimo, che prende questo nome proprio in quanto vuole essere un’ aperta condanna ad un sistema  che Lutero giudica corrotto e malsano, vuole dare vita ad una seconda Chiesa, quella protestante, e per questo nel 1530  nasce la confessione  Augustana contro quella romana; nel 1531 nasce la Lega di  Smalcalda dove tutti i Principi protestanti  a capo delle loro terre si associano per prepararsi alla controffensiva del nemico, che infatti  non si fa attendere, dopo che tutti i Principi cattolici vengono obbligati  all’espulsione.

Eventi di ribellione popolare da parte dei contadini  accaduti in questi frangenti di forte cambiamento  non sono direttamente voluti da Lutero, ma sono la inevitabile conseguenza di quanto  le genti si rendono di per sè  autrici,  anche sotto il volere misterioso di Dio. Lutero prende le distanze da questo fenomeno e cerca di focalizzare la questione  sulla sua fondatezza  filosofica, storica e culturale, più che  rivoluzionaria nel nome della rivolta dei poveri.

Nel 1555 si arriva alla pace  di Augusta che sancisce   uno stato di tregua  tra la fazione  cattolica e quella protestante, imponendo il principio del “cuius regio eius religio”, ossia ad ogni regione si applichi   la propria religione.

In tutta risposta a queste immodificabili   trasformazioni   riformistiche  nasce e si impone la Controriforma,  cioè la reazione della Chiesa di Roma alla messa in dubbio del suo indiscusso primato  religioso e secolare in materia di  teologia  e dogmi.

Si ribadisce che la salvezza si ottiene attraverso la fede ma anche le opere, includendo tra queste le indulgenze medesime. Contro la stessa interna  decadenza morale che non può venire negata viene indetto il Concilio di Trento che dura dal 1545 al 1563 vedendo succedersi ben quattro Papi,  e  quindi nel 1564  viene proclamata la Professione di fede tridentina., che sostanzialmente disconosce quella  augustana.

Nel frattempo nel  1559  era partita  la severissima censura sui libri mandati all’Indice.  E’ solo linizio di una terribile controffensiva che il potere religioso romano   per opera di strumenti del tutto secolari   mette in atto nei confronti di tutto un sistema di pensiero che muoveva i suoi primi passi verso la propria naturale e legittima emancipazione.

E’ pur vero che autentiche spinte  rinnovatrici desiderano nel profondo una Chiesa più vera, più vicina ai dettami del Vangelo, più autenticamente al servizio degli ultimi, ed è in questo  clima  movimentato  che nascono nuovi ordini religiosi, come quello dei  Cappuccini, dei Filippini e dei Fatebenefratelli.

Nel 1540  era nato anche l’ordine dei Gesuiti, i cosiddetti soldati di Cristo,  che alla guida del loro ispiratore  Ignazio di Loyola,  si pone l’intento di difendere anche a costo della vita  il sentimento di assoluta fedeltà alla figura del Papa intesa  come l’unica e legittima   incarnazione stessa di Dio in terra.

E’ dentro questo clima  di guerra, di sospetto e di  violenza diffusa che persone autorevoli  si trovano costrette  a  esprimere il loro pensiero in maniera del tutto anonima o postuma, per evitare il rischio già conosciuto dell’Inquisizione.

Lo stesso celebre Torquato Tasso si trova a dovere ambientare la sua stessa famosa opera  “La Gerusalemme liberata” dentro un tempo storico  che lo salvaguardasse da possibili incriminazioni, ma utilizza i suoi stessi personaggi come  ispiratori in incognito   di sentimenti umanistici e liberatori, inneggianti uno stato  di pace e di tolleranza universale.  Lo stesso  Manzoni utilizzerà lo stesso escamotage   nei confronti dei suoi Promessi Sposi, per evitarsi complicazioni con lo Stato dominante.

 

 

Moro, Campanella e Giordano Bruno

Mentre Machiavelli entra nel pensiero come il teorico della realpolitik, ossia come il sostenitore che la realtà non è che la conseguenza di precise scelte politiche e la  conseguenza di precisi fatti storici, il tutto finalizzato ad ottenere uno Stato forte capace di conservare il suo potere in uno scenario internazionale, per il bene stesso dello Stato e del suo Principe che  lo governa, Moro, Campanella e Giordano Bruno, tutti più o meno  contemporanei di quel periodo storico (il 1500),   entrano  nel pensiero come  esaltatori di quel sentimento  irrazionale, fantastico  e spavaldo   che va sotto il nome di Utopia.

Agli uomini utopici piace l’assurdo, piace immaginare quello che non c’è ma potrebbe esserci se solo gli uomini lo volessero davvero. Non è qunque corretto parlare di assurdo, o meglio, nel definirlo tale si   prende atto che i sogni rimangono spesso sogni senza tradursi in realtà.

La stessa sorte del resto capitò persino allo stesso Machiavelli,  che desiderando il successo del suo Principe, dovette constatarne il fallimento  o comunque la complessità degli elementi messi in gioco.

Tommaso Moro scrive per l’appunto un’opera intitolandola  Utopia; non è un trattato alla Machiavelli, ma un’opera fantastica che descrive una società immaginata dove tutto risulta essere perfetto e funzionante. In questa meravigliosa comunità tutti hanno il loro posto, ognuno viene rispettato, non esiste la violenza, la sopraffazione, l’ingiustizia e la povertà.

L’esigenza di scrivere un testo tanto diverso  dalla realtà nasce proprio da un bisogno morale e spirituale   di  recuperare l’uomo e la società all’idea di una comunità più giusta, più a misura d’uomo. Dove tutto nella realtà ci porta davanti a situazioni estreme e poco generose, al buon  cittadino  non rimane che  il tentativo di potere almeno sognare, fantasticare, a costo di palesi  illusioni che però tali si rivelano  solo per difetto  umano.

E’ come se Moro ci dicesse “Il passato lo abbiamo buttare via tutto, ma il futuro è ancora da scrivere, forse nel futuro qualcosa di buono accadrà, forse c’è ancora speranza,  e comuque io mi dissocio da questo scenario che non mi appartiene, e consegno la mia speranza al domani”.

Volontario  Atto di denuncia, dunque, dietro i racconti fantastici e allegorici.

Di ben maggiore   coraggio/vigore  dovrà munirsi    l’intervento di  Tommaso Campanella;  il contesto di riferimento differisce sostanzialmente per la ragione che Campanella è innanzitutto  un frate  domenicano che ha un trascorso politico rivoluzionario,  di natura  per così dire un uomo d’azione e non solo di preghiera. Tommaso Moro era un giurista cresciuto nel linguaggio della diplomazia, e nel nome stesso dell’arte diplomatica aveva visto compiersi  con suo sommo disgusto   i più tristi delitti. Delitti che lo portano ad una maturazione opposta.

Camapanella di contro  corre il rischio gravissimo di venire consegnato alla Tortura della Sacra Inquisizione, per le sue idee panteistiche e blasfeme,   quindi   per sottrarsi a questa misera fine   si finge (da buon giullare  e  teatrante quale era) privo di senno, incapace di intendere e di volere. Gli fu risparmiata la morte in cambio del suo annullamento  sulla scena del mondo. Il suo riscatto  sarà  quello di   scrivere  il romanzo La città del sole, dove ripercorre in chiave fantastica   lo stesso progetto già  raccontato in forme ovviamente diverse dal celebre Moro.

Anche Campanella si rifugia nella fantasia, ma aggiunge alla stessa (per necessità) un ingrediente in più, cioè quello della follia apparente.

La sua opera inneggia alla pace, alla tolleranza, alla comunanza dei beni, persino delle donne;  naturalmente il suo testo non vedrà mai la luce se non dopo la sua morte e per opera dei suoi stessi collaboratori e difensori d’animo.   Oltretutto  scrive il testo    proprio durante la sua prigionia,  e non fu quindi la sua stessa opera a causargli l’internamento  per ben 27 lunghi anni. Anzi, l’opera nasce come la sua spontanea reazione al suo stato assurdo e insopportabile  di prigioniero. E’ lo scrivere stesso che impedisce al Campanella di diventare pazzo per davvero.  Una storia davvero al limite del paradosso, ma che ci consegna un capolavoro  dell’umanesimo cinquecentesco.

Magari non condivisibile in tutto, magari troppo con accenti comunistici e panteistici del tutto discutibili,  ma  senza dubbio  un’opera d’eccellenza  e una generosa testimonianza creativa e liberatrice.

Chiude la serie degli utopici il celebre e più sfortunato Giordano Bruno; anche lui monaco, anche lui domenicano, anche lui anticonformista come Campanella.  Nonostante un sistema educativo e direttivo che li obbligava a comportamenti   autocensuranti e obbligati allo standard imposto dalla gerarchia,  Bruno  ignora ogni  possibile divieto  e consiglio ad essere prudente e conciliante.

L’unica forma di consiglio che accetta come ragionevole è quella di seguire il suo stesso modo di intendere il mondo, la realtà e il cosmo, tutte posizioni intellettuali che lo portano alla inevitabile accusa di  eresia e al suo relegarsi a un progetto utopico.  Di fronte all’invito a  ritrattare le sue posizioni, fermamente  si rifiuta, consegnandosi al rogo. Galileo Galilei evitò lo stesso trattamento solo perchè accettò di fare atto  di apostasia, che ci consegna uno scienziato ormai anziano e malato, quasi  cieco, e ridotto all’umiliazione.

In che senso si può legare la figura scientifica e del tutto razionale  di Bruno con  le altre due figure del tutto diverse da questa? Oltre al secolo intero che li unisce e nello stesso tempo li separa,   i tre autori si  legano per  l’inseguimento  comune e  determinato di un sogno, di una convinzione, di un ideale, di una ragione conoscitiva fisica o metafisica che  avrebbe superato  gli ostacoli  del tempo; personalità   che in quanto tali presentavano caratteri avanguardistici e in conflitto con la contemporaneità.

Figure leggendarie o  chiamate al centro della scena, e nello stesso tempo  assolutamente reali e  specifiche  che dimostrano come  basti la volontà per  permettere la realizzazione  di idee che possono col tempo distruggere  le resistenze ed ogni genere di opposizione. Oggi siamo tutti convinti che Bruno aveva ragione. Come aveva ragione Campanella a sognare una società equilibrata ed armonica (pur con tutti i distinguo del caso). Come aveva ragione  Moro a rifugiarsi nel sogno  di Utopia   per  invitare gli uomini  a non arrendersi alle brutture  del mondo.

E fortunatamente l’Utopia è sopravvissuta. O forse la fortuna non centra proprio nulla….