Kierkegaard

Kierkegaard  (1813-1855) è il filosofo che si contrappone  totalmente ad Hegel, in un tempo che era totalmente hegeliano. Come dire, Davide contro Golia.  Rovescia l’impianto del teorico  dello Stato  forte e vi contrappone la fragilità e l’inconsistenza del singolo, della singola persona   sola davanti al Tutto, infinitamente  piccola davanti al mondo e alla sua totalità. Con quale forza è possibile vincere questo confronto? Con quali possibilità di riuscita?

E’ un aut-aut  inevitabile ed imperioso: nella vita bisogna fare delle scelte:   o dentro o fuori, o l’etica o l’estetica, o il dovere o il piacere, o la serietà o i fronzoli. O il bianco o il nero.  O  Dio, o il nulla.  Insomma, non ci sono le mezze misure. Del resto Hegel stesso aveva detto o sei dello Stato o ti metti fuori dal gioco. Anche lui era stato categorico. E occorreva una replica altrettanto decisa e risolutiva,  che non lasciasse spazio ai se a ai ma.

Dentro questa critica ad Hegel che ignora il singolo, il suo universo, la sua esistenza fatta di assoluti e scelte personali ed interiori,  Kierkegaard critica anche la  comunità cristiana fatta di apparenze, ritualismi e formalità.  Disgustato da quantoo del messaggio cristiano di Cristo  fosse  rimasto nulla, condanna il falso cristianesimo, e a lui preferisce il singolo che si dichiara smarrito e confuso, ma deciso a ripartire verso la luce.

Per la società ognuno di noi è un qualcuno che porta una maschera, costretto a nascondersi dietro a convenzioni e  accordi formali. Occorre superare questa facciata e andare al cuore dell’essere, al suo vero io profondo e tormentato  tra la lotta e la resa, tra la resistenza e  la leggerezza del lascirsi andare al caso. La stessa maschera alla quale lostesso filosofo ricorre usando pseudonimi per le sue opere, non volendo esporsi  direttamente  in un dibattito che lo avrebbe divorato vivo.

Vivere è uno stato di angoscia, perchè non si può sapere fino alla fine se saremo in grado di adempiere  al nostro compito.  Quello che il filosofo pensa di tutti lo pensa sopra tutto  di se stesso; è a se stesso che pensa quando  decide se scegliere una vita normale e felice con Regine, la sua fidanzata, o se rinunciarvi per espiare chissà quale colpa recondita e familiare. E’ a se stesso che pensa  se  destinarsi alla gioia di potere avere figli o relegarsi ad una vita solitaria  e schiva, lontano da ogni mondanità e da ogni pur banale  divertimento.

Il suo interrogarsi e mortificarsi è talmente radicale da risultare per lo più incomprensibile ai suoi molto più vivaci  contemporanei;  non per caso l’immagine di Kierkegaard viene presa a significato di stramberia;  nascono vignette e derisioni nei suoi confronti, che spopolano intorno la sua persona,  e mai come per  questo rigorosissimo  pensatore cristiano (lui stesso amava devinirsi un uomo di fede e non un filosofo vero e proprio)  l’incarico della cristianità ebbe a rappresentare un pesante fardello.

Quasi che uomini come  lui dovessero vergognarsi di abitare la faccia della terra,  e dovessero  nascondersi  ad un mondo ormai emancipato  che aveva  rinnegato e rigettato le sue radici e vocazioni   anti mondane.

Se per Cartesio era valsa come bussola d’orientamento il Cogito ergo sum, per Kierkegaard come bussola orientatrice vale il detto Soffro dunque esisto in una vita vera che vale la pena d’essere vissuta.

Ansia di espiazione, di purificazione, di isolamento, di preghiera, di dedizione totale a un progetto di vita  che unico non ci potrebbe deludere o abbandonare. E che è  pronto ad accettare noi  come suoi  figli imperfetti ma ugualmente amatissimi.

Per sintesi: esistono tre scelte possibili, la via estetica, la via etica e la via religiosa. L’esteta è come il don giovanni che vive dell’attimo, di leggerezza, di novità, ma appena soddisfatta la brama della conquista figace, ricade nella noia e quindi è costretto a rimettersi alla ricerca di  nuove  prede, di nuovi appettiti, di nuove avventure, eternamente  insoddisfatto.

L’uomo etico è il buon marito, il buon padre di famiglia che si assume un compito e che lo porta coerentemente  ed onestamente a  termine, con devozione  e rispetto della propria scelta.  Della sua vita accetta tutto, gli alti e i bassi, consapevole di non venire  deluso  o abbandonato.

L’uomo religioso è colui che non si accontenta di una vita regolare  ed umana, ma esige per sè la totalità, qualcosa di maggiore della normalità,  e sceglie direttamente Dio ed il dramma della solitudine, lo scandalo di Gesù che muore solo sulla croce, lo scandalo di Dio che chiede ad Abramo una cosa indicibile.

Dio è un mistero, non si lascia possedere. E’ il Dio di Abramo a cui Dio chiede  in sacrificio la cosa più importante e preziosa della sua stessa vita, suo figlio Isacco.

Abramo è frastornato, combattuto, lacerato, distrutto da questa domanda così assurda, eppure non cede alla incomprensibilità apparente. Per fede accetta il sacrificio, e mentre è sul punto di dimostrare, con la morte nel cuore,   l’annientamento di sè verso la sola  fonte di vita  che ci permette  la gioia dell’esistenza oltre il dolore della morte,  Dio lo ferma all’ultimo momento, dicendogli “Non farlo, non voglio davvero che tu lo faccia, volevo solo vedere se saresti arrivato a farlo, volevo solo vedere se mi potevo fidare di te, e adesso so che mi posso fidare, so che tu sei Abramo, il mio figlio fedelissimo.”

Amore totale che richiede una devozione totale. Amore geloso, amore  esigente quello di Dio.  Come Lui ci ama non ci  può amare nessuno. Come Lui ci  rende speciali, non ci può rendere speciale nessuno, nemmeno un amore terreno  per quanto bellissimo; nemmeno un disegno umano straordinario, per quanto sognato.

Kierkegaard, che è apparso robetta di poco conto ai suoi contemporanei distratti,  era  ed è stato  niente altro che l’Abramo del suo tempo. Viene scoperto e rivalutato nel ‘900 entrando a pieno diritto nella rosa dei filosofi spiritualistici,  soggettivistici  e sostenitori di un pensiero tragico.