
L’insegnamento è una occasione che viene data al maestro/insegnante di far vedere qualcosa ai suoi alunni/studenti. Dovrebbe essere anche un dovere, un piacere, un fare creativo.
Che lo diventi dipende da tanti fattori che si devono trovare messi sul campo; per esempio, i bambini con la voglia di imparare, i maestri con la voglia di insegnare, delle classi accoglienti dove non manca il necessario per lavorare bene, delle famiglie attente che si interessano di quello che al loro bambino necessita o accade, tante idee da mettere in pratica, senza cadere nello scontato, nel troppo banale, nel fare meccanico e privo di entusiasmo.
Il bambino/ragazzo se ne accorge se gli proponi una lezione piatta e priva di entusiasmo.
E quando la lezione convince perchè conquista, allora tutto diventa chiaro; diventa chiaro il perchè bisogna farlo, il come lo stiamo facendo, il perchè tutti devono partecipare e fare la loro parte.
E’ pacifico; ci saranno giorni in cui ci si potrà sentire più in forma, ed altri un pò giù di tono…
Ci saranno i tempi dove si darà tantissimo e i tempi dove si darà poco o di meno.
Siamo umani, siamo oscillanti, variabili, mobili, in continuo cambiamento…a volte persino imprevedibili.
Intanto il maestro riflessivo annota nella sua memoria, osserva, impara a conoscere i suoi rampolli, alcuni vivaci e iperattivi, loquaci fin troppo o troppo silenziosi, tendenti alla maleducazione o al rispetto dell’adulto come del compagno.
Il maestro rimprovera e riprende i gesti che non vanno bene, il parlarsi uno sopra l’altro, l’offendersi per delle stupidaggini, il litigare per delle rivalità, il parlare a sproloquio, il formarsi dei gruppetti che tendono a ignorare o distruggere il gruppo classe.
Svolge in altre parole una funzione educativa, oltre che formativa; anche se la vera e propria educazione la dà la famiglia, ne è responsabile diretta la famiglia.
L’ arma di convincimento primo del maestro è la parola, il dialogo; poi il richiamo verbale; poi la minaccia del richiamo genitoriale (che funziona sì e funziona no…dipende); poi quello burocratico, se quelli precedenti non fossero stati sufficienti.
Nella scuola primaria è tutto così elementare, ma spesso questa parola viene equivocata come riduttiva della dignità dell’alunno primario. Spesso accade che ci si dimentica d’essere gli adulti e ci si trasforma in guardiani di minori con la sola fobia di non trovarsi richiamati a dovere rispondere di mancanze.
(del tipo: non lo mando in cortile perchè potrebbe comportarsi male, oppure non faccio una certa attività perchè potrebbe non essere capita dai genitori, oppure riduco il tempo del gioco libero al minimo così che riduco il rischio di avere infortuni…)
Nei primi anni di scuola si tende troppo a giustificare/colpevolizzare i comportamenti scorretti, siano essi reali o solo possibili, quando invece è proprio il grado di scuola che dovrebbe con più possibilità di successo presentare gli strumenti della tolleranza e dello scambio culturale, che non sono da scambiarsi per concessionismo e per categorico proibizionismo. Spesso l’errore che si commette è che si è più propensi a pensare sui piccoli che sono piccoli, appunto, cioè incapaci ( anzichè pensare che vanno responsabilizzati). Incapaci di avere un giudizio proprio, un proprio gusto, una propria elementare capacità osservativa e di sintesi.
E quindi li si guida in tutto, nel dire loro sempre “fai così, fai cosà…” facendo passare il concetto che se fanno diversamente sbagliano, e non vanno bene, obbligandoli ad uniformarsi. Spegnendo i soli naturali dentro di loro.
In questo primo livello scolastico i bambini non sono ancora a rischio di violenza psico-fisica, non in linea di massima, non in situazioni normali; anche in questo il controllo degli adulti è talmente alto che tutto viene bloccato sul nascere, o quasi.
A volte proprio dove il controllo sarebbe auspicabile, proprio in quel caso viene a mancare, nessuno diventa capace di cogliere dei segnali preziosi.
Il fatto è che accanto al controllo ci deve essere anche la ricchezza e profondità dei saperi, essi stessi già perfetti e semplici nella loro stupenda complessità. E accanto alla capacità di cogliere dei segnali, ci deve essere il tempismo, la capacità di agire e fare le scelte necessarie.
Si comprende come un maestro elementare non può significare affatto banale, limitato, inferiore, infantile, … ed è giustissimo che la formazione sia stata allungata al percorso universitario.
Certo che la scuola di prima formazione non può limitarsi a pensare in maniera minimale, solo perchè dirige il suo contenuto ai bambini nei primi passi.
Questi primi passi, se ricolmi di prospettive come è doveroso che siano, sono le pietre su cui verranno costruite cattedrali.
Deve passare il principio che tutto può essere portato a un bambino piccolo, pur con le giuste parole e con i giusti tempi.
Si deve passare dalla classe docente che è chiamata a non fare, a non esporsi, a non essere creativa, alla classe docente che è chiamata a fare con competenza e serenità di giudizio.
L’ iper controllo fine a se stesso in parte impedisce ai bambini di evolversi, li tiene come compressi, e questo tappo schiacciato e blindato esploderà inevitabilmente nella scuola successiva.
I problemi veri iniziano dopo, con la scuola media di primo grado, ed emergono violenti con la scuola secondaria superiore.
Se da un insegnante di scuola primaria ci si aspetta comprensione, accoglienza, massima disponibilità e collaborazione (ma io direi piuttosto anche svendita del proprio compito) con un insegnante di scuola media si comincia a parlare con insistenza del rispetto delle regole e del rispetto degli altri.
Alla scuola superiore la frittata della separazione e della incomunicabilità tra giovani e adulti è spesso già stata fatta.
L’insegnante è colui che valuta, giudica, sentenzia, è un matusa fuori dal mondo; e gli alunni sono i valutati che se ne fregano di subire valutazioni.
Un muro contro muro, due mondi che si scontrano, che si mascherano l’uno di fronte all’altro. Salvo che non si cerchi il dialogo, le possibilità di comprendersi ed unire le proprie reciproche potenzialità senza scendere a facili compromessi o formalismi di maniera.
Così che spesso il docente o è considerato un emerito stronzo, o una nullità, o una persona veramente ok , per dirla con il linguaggio dei giovani…
(Continua)
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