Se per insegnare occorre volere insegnare, per apprendere bisogna volere apprendere.
Un alunno decide di volere apprendere quando scopre che apprendere è bello, è divertente, è utile, è importante, è necessario, è naturale come respirare.
Se è l’alunno che capisce tutto questo da sè, non sarà più la scuola a doversi preoccupare di obiettivi imposti, di risultati non raggiunti, di denaro sperperato e di giovani che andranno ad occupare spazi sociali in fallimento.
Come portare i bambini a questa soglia, non dovrebbe essere difficilissimo.
Basta essere vicino al bambino, accanto ai suoi bisogni, attenti alle sue richieste, non solo quando sono ben decifrabili e positive, ma soprattutto quando sono contorte, nascoste, mascherate e non consapevoli.
Davanti a un comportamento da bullo, ci possono essere due vie da seguire: il rimprovero senza possibilità d’appello con relativa punizione, e il rimprovero studiato accompagnato da un invito al dialogo.
Se si punisce e basta otterremo di non fare capire la volontà di volere includere e non escludere.
Le famiglie sono nuclei che quando funzionano vorrebbero solo poter vedere i loro figli andare a scuola contenti.
Gli insegnanti sono specialisti che quando funzionano vengono visti dai loro alunni come persone su cui si può fare conto.
La scuola del futuro sarà quella che darà i voti agli insegnanti; non più alunni condannati a subire senza mai avere voce in capitolo, ma alunni chiamati a costruire il proprio piano studi.
Alunni che abbandoneranno la facile lamentela, la paura di sbagliare, il disimpegno assoluto nel caos delle contese.
Genitori che avranno come primo desiderio quello del futuro e del presente dei loro figli, nel riconoscimento dei ruoli, delle competenze, delle responsabilità.
Insegnanti equamente pagati si daranno da fare per una scuola d’equipe, dove il lavoro educativo-formativo verrà inteso in primis come un lavoro di squadra.
Ma oggi come stanno funzionando le cose? il presente è problematico, ma non senza possibilità di miglioramento.
Sinceramente, vedo molte opportunità di far emergere e far evolvere le strumentazioni innumerevoli e varie del mestiere.
Tra queste strumentazioni, non ci sono solo quelle tecnologiche o cartacee, ma sopratutto quelle umane, quelle personali, quelle emotive, quelle interattive, quelle che per lo più non si imparano tra le pareti universitarie o sui libri.
Ogni insegnante dentro una medesima situazione, gestirebbe la cosa a proprio modo, in modo diverso; questo “modo proprio” dipende da chi si è, da come si è, da cosa si sta attraversando.
Ci sono però elementi in comune che accomunano ogni pedagogia funzionale, ogni forma di approccio educativo e formativo: questi elementi sono l‘osservazione, la riflessione e la sperimentazione.
Il tempo speso nell’osservazione è tempo guadagnato nella didattica; il tempo speso nella riflessione è tempo impiegato nella progettazione; il tempo speso nella sperimentazione, è tempo investito nello sviluppo della pedagogia intesa come qualcosa che si evolve esattamente come l’essere umano.
Osservando si possono prevenire problemi e richieste, riflettendo si possono trovare risposte e strategie, sperimentando ci si mette sempre in discussione e si allarga il margine di confine della conoscenza.
Concludendo: l’insegnante è un gestore di persone che gli vengono affidate per la loro crescita e che comprende sia l’aspetto relazionale che l’aspetto intellettivo-cognitivo.
Non ci può essere l’uno senza l’altro.
E quando io (insegnante) funziono, allora tu (alunno) funzioni e noi (società) funzioniamo.
Messa così, quale folle paese non investirebbe il meglio delle sue risorse nella scuola???