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Quando scrivi…

 

Quando scrivi usi le parole per emozionare.  Che senso avrebbe altrimenti la scrittura? Una parola detta per obbligo o per circostanza, è una parola ben presto dimenticata, ma quando si scrive e si cattura il proprio lettore, allora si viene ricordati per la nostra vicinanza verso chi ci legge.

Quando ascolti, usi le orecchie  per   apprendere qualcosa  che  possa esserti utile.   Difficile trovare parole che sappiano essere incisive; sono così rare e preziose,  che quando  sentite dovremmo poterle sigillare dentro custodie preziose  che sappiano farcele riascoltare ogni volta ne dovessimo risentire il bisogno.

Quando dipingi, metti al mondo un pezzettino nuovo di te;  questa minuscola creatura non sempre viene come tu la vorresti;  se non convince, la distruggi.  Una volta  per autolesionismo  hai  persino distrutto  creature  di cui hai purtroppo rimpianto la tua capacità d’averle create   per tutta la vita.

Quando leggi, ti riconosci negli altri. E’  meraviglioso ritrovarsi nelle parole altrui come se fossero un poco anche tue. Ci rende simili, vicini, affini, se pur diversi.   Dovresti leggere molto molto di più; date retta a chi ci ripete in continuazione che bisogna sempre leggere  tanto perchè solo in questo modo si impara a esprimersi e a conoscere il mondo.

Quando corri in bicicletta, ti diverti. Il movimento del corpo è la prima pratica da esercitare se si vuole rimanere in buona salute; certo, dovresti allenarti di più, ripenso con nostalgia  a quando correvi come una gazzella, a quando amavi la ginnastica come un prolungamento di te stessa. Un bel corpo è un corpo che sa muoversi con armonia, con creanza, al di là della sua fattura specifica, che può essere lunga o corta, esile o più formosa…

Quando ridi, ridi con la pancia, la bocca, il naso e gli occhi e tutti i muscoli della faccia; immaginate un grasso maiale che si sganascia e che chiunque lo dovesse sentire non potrebbe non fermarsi ad ascoltarlo, mettendosi  lui stesso a ridere… Quello sei tu  che ridi.

Quando piangi, piangi in silenzio; ti ritiri dove nessuno ti possa sentire o vedere, ti piace piangere in solitudine.  Ma ci sono certi pianti  che non si possono tenere solo per sè, ci sono certe lacrime che non possiamo dominare, ci escono ininterrottamente, senza possibilità di controllo alcuno. E  male sarebbe cercare di trattenerle.  Le lacrime lavano via lo strazio, liberano  i pensieri  che non possono essere detti, che abbiamo il pudore di tacere.

Quando sorridi,  diventi gentile; viene fuori la parte migliore di te. Un bel sorriso è come un sorso d’acqua che ci disseta, un fiore che ci profuma, un raggio di luce che ci illumina.

Quando  parli, parli per essere ascoltata. E’ bello ascoltarti. E’ bello sentire la tua voce. La tua voce è come il suono di una presenza vicina, è come sapere d’avere una famiglia, è come un vento caldo che ti avvolge, ti viene voglia di allungare le braccia per afferrare qualcosa, stringere mani, accarezzare volti, partecipare.

Quando urli, a dire il vero molto raramente,  urli per urlare, e urlare e urlare. Perchè altrimenti si dovrebbe farlo?  Si urla per il troppo dolore, per la paura, per la rabbia… e dopo che si è urlato è passato tutto o quasi, e quindi urlare serve, fa bene.

 

(continua)

Cari medici…

E’ un bel sabato di inizio giugno di un bel fine settimana di vacanza.

Un giorno speciale nella mia vita, per qualcosa accaduto in passato, ma ancora non so che  lo sarà ancora per me, in una maniera molto diversa.

Sono in casa con il mio compagno, stiamo facendo dei lavori, una casa nuova tutta da mettere a puntino, e sono tante le cose da sistemare.

Siamo riusciti in un tempo relativamente breve a portare in casa tutto quello che serve, manca solo l’ultimo pezzo, un lungo blocco di mobile pesante che per risollevarlo non basta la fatica di tutte e due.

Per lunghe ore rimane abbandonato fuori dalla porta, sul selciato, come una bara vuota in attesa del suo contenitore…

Per noi è solo un mobile, l’ultimo di una lunga fatica: così ci aiutiamo con l’astuzia, con piccoli stratagemmi; se il peso lo si fa portare a un sostegno sul quale appoggiarlo e quindi lavorare in sollevamento a piccoli gradi,  una cosa impossibile può diventare fattibile.

Il mobile è arrivato al suo posto, in cima al soffitto, lassù  dove va ancorato, ma ecco l’imprevisto che ci attende sibillino e silente: le misure prese non vanno bene, i buchi  nel muro vanno spostati, tutto da rifare.

Quanti di noi ci troviamo davanti  un fallimento e ci tocca di dovere ricominciare daccapo! Succede.

Solo che c’è chi lo prende bene, chi lo prende benino, e chi lo prende malissimo.

Il povero Marco si sente venir meno; lo stomaco si occlude per il nervoso, il cervello ha come un blackout, gli occhi stralunano e lo sguardo si perde nel vuoto, le mani si sollevano e si irrigidiscono, come senza  più forze, la bocca perde l’uso della parola, tutto il fisico si accascia come un tronco senza più linfa…

Si tratta di  pochi istanti che fermano il tempo nella sua concitazione.

“Aiuto, aiuto qualcuno mi aiuti…”  Chiamare, chiamare subito il 118.

Rifare il numero più volte prima di riuscire nell’intento, spiegare al pronto soccorso cosa sta accadendo, loro chiedono i sintomi, la via, la zona, come raggiungerti, tu sai solo  che un istante in più può fare la differenza e gridi “Fate presto! Correte! Correte!!”

L’agitazione, il panico, qualcuno sente le grida  ed entra dalla porta, è un giovane che vuole prestare intervento…ma cosa si può fare per aiutare qualcuno che  ha avuto  un’ischemia al cervello?

Finalmente Marco sembra riprendersi, trova la forza di divincolarsi da una posizione che lo teneva costipato,  dice che gli deve essere scoppiato qualcosa nella testa, si dirige verso il divano, la moglie l’aiuta a sdraiarsi, è fradicio, praticamente il suo maglione gronda sudore, ma riprende a parlare, è tornato l’uso della parola, Angela gli  accarezza la fronte,  gli stringe la mano, gli  accomoda due cuscini sotto la testa, gli  solleva i piedi, gli parla, lo rassicura, i soccorsi stanno arrivando, e loro non saranno più soli con il loro  terribile  dramma.

Arrivano gli infermieri/barellieri, chiedono il nome, i sintomi, misurano il polso, la pressione,  assistono lo sfortunato  nelle prime emergenze, fanno domande di routine, si cerca di capire, di ricostruire l’accaduto, di valutare il da farsi.

Niente  medico, i parametri vitali sono buoni.

E poi c’è il vomito, lo stomaco si libera, c’è una certa ulteriore  ripresa e il rifiuto di farsi portare all’ospedale per accertamenti.  Certo, siamo via da casa, e questa cosa può essere evitata…

“Congestione”; questa è la sentenza.

Ma può una congestione portare una persona quasi a morire? Bè,  mi si potrebbe dire di sì, certo, può succedere…Anzi, è proprio quello che mi viene spiegato.

Ma  la congestione fa venire un terribile mal di testa? e fa venire un terribile mal di collo?  e fa stralunare gli occhi? e fa perdere la lucidità?

E  fa seguire nei giorni a venire  un terribile mal di schiena? (come accadrà)

E  offende   la mobilità di una gamba? (come accadrà)

Ora però Marco è contento.

E’ così contento di potersi infilare nel suo lettuccio, nella sua casetta, rimanendo vicino a sua moglie,  che saprà come curarlo e riportarlo a casa….

Domani è domenica, pensa, ci sarà  tempo per riprendersi, e poi lunedì si vedrà.

Il riposo è una gran bella cosa e sembra potere risolvere molti problemi; è vero, solo che molti non significa tutti.

E se anche il lunedi è stato occupato con una bella terapia di sonno, arriva il martedi inclemente, dove bisognerebbe ripartire, ributtarsi nella mischia delle cose quotidiane…

La sera di martedì ritornano i guai; tutto il beneficio accumulato con il riposo diventano  solo un vaghissimo ricordo.

La notte è terribile, il dolore alla testa è lancinante, non passa, non passa, anzi, aumenta, fitte sempre più insopportabili, che si uniscono al mal di collo, quel mal di collo che la testa vorresti poterla staccare ed appoggiare sul cuscino, ma non si può…

Cinque del mattino, di nuovo il 118, corsa al pronto soccorso, quella rimandata ma ora non più rimandabile.

Accoglienza: codice bianco; non male per uno che non ha dormito tutta notte ed ha avuto una ischemia solo che nessuno la ha ancora diagnosticato.

L’ospedale è bravo, ci fa tutti glie  esami di protocollo: tac al cervello per il mal di testa, radiografia alla schiena, visita ortopedica, esami del sangue, ecografia all’addome (ma perché se non ci sono dolori addominali?),  e la punturina antidolore perchè il paziente  che ormai ha perso la pazienza la reclama…

Tutto negativo: il paziente è sano, solo una qualche infiammazione, una bella medicina e via a casa in assoluto  codice verde…

Che bello: Angela e Marco sono felici; sono entrati al pronto soccorso in barella ma ne escono  dopo otto ore  con le proprie gambe, e con un bel codice “senza complicazioni”.

“Allora sono sano”, pensano, non c’è niente di cui preoccuparsi; se chiamano gli amici, sappiamo cosa rispondere, per il lavoro possiamo dire che basteranno qualche giorno di riposo in più…

Peccato che la bella medicina non fa il suo dovere, non cura nulla, ne l’infiammazione nè il dolore. Non solo. Il dolore aumenta e l’infiammazione pure; questa volta colpisce sempre più la schiena, sembra essersi radicato nella parte bassa, colpisce la possibilità di stare in piedi, se Marco cerca di andare in bagno, non riesce a reggersi; altro che stare tranquilli.

Passa tutto il mercoledì ed il giovedì ed il venerdi mattina; nonostante il cambio della cura, da un blando farmaco a qualcosa di più mirato,  i miglioramenti non ci sono.

Come è possibile che il malato sia sano eppure sta male, anzi, sta sempre peggio???

Qualcosa non torna.

Soprattutto il buonumore precipita. In cosa credere ora? In cosa sperare? Cosa pensare?

“Giuseppe (il medico curante), Marco non migliora, cade, non sta in piedi, bisogna fare altri accertamenti”

“Va bene, ti mando il neurologo, lo visiterà”

“Angela, ho sentito il neurologo, dice che non serve perdere tempo; bisogna portarlo di nuovo all’ospedale, portalo però alla Cagrande, devi dire che ti manda il  professor Pavesi, che ha già telefonato in pronto soccorso, ha già esposto il caso, ci sarà un certo dottor Giudici  che sa cosa dovrà fare, un esame che non è ancora stato fatto…”

Finalmente qualcosa si muove, forse. Qualcuno ha capito che  non è stato fatto l’unico esame importante; del resto, per esclusione, bisogna procedere con quelli mancanti.

E adesso bisogna correre.

Al pronto soccorso le cose non vanno esattamente così;  il paziente diventa ostaggio di contese di parte. Che fare?  L’importante è che qualcuno capisca che il malato va guardato, ascoltato, ascoltato nelle sue sintomatologie pregresse.

La difficoltà è che bisogna capire che quello che accade oggi si spiega solo andando a vedere  sette giorni prima.

Marco ha paura, è stanco, sfibrato, dopo una settimana di travaglio.

Vorrebbe solo una bella cura nuova, questa volta efficace.

Ma la moglie del paziente invece ha terrore di tornare a casa con l’ennesima medicina che non curerà nessuna malattia.

Di nuovo una tac al cervello, di nuovo l’esame del sangue, di nuovo un bel codice bianco. E allora? Il malato vivo ma dolorante  verrà dimesso perchè negativo?

Angela racconta, racconta, vomita e puntualizza i dettagli di una settimana di osservazione continua.

E i medici scettici ma impressionati decidono il ricovero.

Sì, forse la risonanza è da farsi; non risulterà nulla, ma è da farsi.

L’indomani  il verdetto: esame positivo, rilevato un piccolo aneurisma, sospetta perdita di sangue, urge intervento immediato perché l’episodio al 50% si ripeterà nei prossimi trenta giorni dal primo.

In maniera deleteria.

E finalmente, dopo sette ore di sala operatoria, il sano malato ritornò sano…

Vatti a fidare degli esami!!!

Cari medici, imparate ad ascoltare i vostri assistiti, ricordatevi che sono persone, e non cose, che sono carne che soffre, e non fastidi da gestire, che sono padri e mariti e fratelli e amici, e non numeri da ammortizzare, che sono racconti e non radiografie spesso manchevoli perchè insufficienti…

Grazie, comunque, perchè  ci è andata bene.

Il paziente sano si è risvegliato, muoveva tutto, capiva tutto.

Muove tutto, capisce tutto.

Meglio di prima.